la cassazione chiarisce che è profitto del reato e per tale via confiscabile anche il patrimonio degli amministratori di una persona giuridica, salva la “preventiva escussione” della società.
il caso analizzato colla sentenza n.20484 del 15/7/15 è quello del reato commesso dall’organo amministrativo nell’interesse della società.
coll’occasione, la suprema corte, consolida due principi davvero scomodi per il contribuente: (i) il patrimonio dell’amministratore è aggredibile con provvedimenti di sequestro e confisca
(ii) per “profitto del reato” si intende la somma dell’imposta evasa, degli interessi e delle sanzioni.
ma procediamo con ordine.
a far data dalla sentenza gubert del 30/1/14 la giurisprudenza è univoca nel ritenere che in tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante o da altro organo di una persona giuridica, è possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di denaro o di altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato tributario, quando tali beni siano nella disponibilità della persona giuridica. mentre (porre molta attenzione sul punto) solo in caso di impossibilità, anche solo transitoria, del sequestro diretto del profitto del reato, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro compiuti.
su tale principio – che spalanca pericolosamente le porte all’aggredibilità dei beni degli “organi societari” – la sezione 3° della cassazione (cass. 30/4/15, giussani) ha posto un paletto (nel caso di specie la corte di legittimità annulla con rinvio un’ordinanza di sequestro preventivo finalizzata alla confisca per equivalente a carico degli amministratori della società); la sezione 3° ha precisato che tale iniziativa sarebbe stata legittima solo qualora avesse avuto come presupposta indefettibile una preventiva indagine e aggressione del patrimonio della persona giuridica che avesse permesso di appurare l’effettiva inconsistenza dello stesso “in assenza di indagine preventiva circa l’esistenza di un patrimonio societario direttamente ricollegabile al reato o patrimonialmente utile al “profitto del reato” corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa oltre interessi e sanzioni, l’aggressione del patrimonio dell’organo sociale è illegittimo”.
la corte di legittimità non ha perso l’occasione per consolidare il concetto di profitto del reato: “il profitto assoggettabile alla confisca, anche nella forma per equivalente (..) va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale derivante dalla commissione del reato e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato (..) a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento di interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario” con ciò richiamando quanto avevano sancito le sezioni unite della corte colla nota pronuncia del 31/1/13.
riassumendo: sebbene con alcune riserve si è ormai aperta la breccia verso l’aggressione penale del patrimonio dell’amministratore. senza riserva alcuna, invece, si ribadisce che frutto del reato non è il solo risparmio di imposta bensì la sommatoria di questo con interessi e sanzioni.
amministratore avvisato mezzo salvato.