la sapete quella del negozio?

un giorno ritorno al mio paese natale a prendere i pasticcini più buoni del lago…
non quelli, sono buonissimi anche quelli, no, io vado in quell’altra pasticceria, sono un po’ più grossi ma hanno una crema buonissima! diciamo che nel paese dove sono cresciuto ci sono due pasticcerie, meravigliose. ognuna ha il suo stile, ma tutt’e due sono eccellenze e il paese si è diviso. praticamente, un derby, milanisti ed interisti, e io preferisco quella coi pasticcini più grossi e la difenderò sempre, per partito preso.

torniamo al negozio. si il negozio di vestiti all’angolo, quello vicino alla pasticceria. l’avevo sempre visto chiuso. nel senso, apriva e chiudeva; ognuno che ci provava durava sei mesi, un anno addirittura ma poi chiudeva; giusto il tempo di pagare gli operai che l’avevano rifatto per l’ennesima volta.

si perché quando uno entra in un negozio nuovo, il rifacimento precedente non va bene e bisogna rifare tutto. “ecco perché non ha funzionato, non si può fare un negozio in questo modo, guarda che ripiani, che mobili! e i colori? tutti sbagliati, la gente che entrava non vedeva l’ora di uscire, secondo me! no, no, bisogna rifare tutto e vedrai come lavoreremo bene!”.

sei mesi dopo erano belli che chiusi e non erano nemmeno riusciti a pagare l’elettricista, quello che ogni volta che vedeva qualcuno andare a visitare il negozio si faceva trovare al bar ad offrire da bere. “soldi!” diceva, “in arrivo!” e ordinava una bottiglia di prosecco.

questa volta gli sarà rimasta indigesta, probabilmente la prossima volta rifiuterà l’appalto. “non si può lavorare per la gloria” diceva “me ne sto in giardino piuttosto o a sistemare l’orto, una birretta fresca, una bella sigaretta, altro che spaccarsi le mani per non essere pagato”. “ma ti lamenti sempre” gli dice quell’altro, “non è questioni di lamentarsi, è questione di soldi”. ma quando c’è da lavorare si lavora “finché ce n’è, meglio fare. com’era quella delle vacche? prima o poi arrivano le vacche magre, meglio portarsi a casa il lavoro. ah, però questa volta chiedo un bell’acconto. non si può lavorare per la gloria!”. “l’hai già detto l’altra volta” gli dice il barista dopo che aveva già aperto la bottiglia, però, prima che ci ripensasse. “si, ma questa volta lo dico sul serio, gli faccio un bel discorso, prima di tutto voglio tutto il materiale pagato, e poi, un bell’anticipo, non voglio rimetterci una lira”. e quelli “ma, abbiamo già dato l’acconto all’architetto e al muratore, poi c’è il comune, i mobili, non siamo mica miliardari?” e lui “va be’, però, appena avete qualcosa mi raccomando io devo essere il primo!” e loro “si, si, sicuro, il primo”. e chi li ha più visti i soldi.

ma torniamo al pensiero di quel giorno. no, non quello dell’elettricista, il mio, mi sono chiesto “ma come mai la gente si ostina a pensare che loro ce la faranno, anche dove gli altri falliscono? “ci credo, hai visto che facce avevano? bisogna anche sapersi giudicare, quando uno non è obiettivo con se stesso, fa quella fine” diceva l’aspirante fallito.

c’aveva azzeccato, la frase era perfetta: molte volte la gente non sa giudicarsi e tende a sopravvalutarsi.

il primo errore che fa chi si sopravvaluta è sottovalutare gli altri in genere, e quelli che hanno fallito prima di loro, nello stesso paese, nello stesso negozio, in specie.

e tanto più ne hanno ben donde, perché quelli di prima, veramente, non era il loro lavoro, tanto più non si preparano, non cercano di avere un carattere, non sanno distinguersi o essere ricordati, ed il fallimento è dietro l’angolo.

eeeeeeeeee, “forse non falliranno perché non faranno abbastanza fatturato” rispondo a mio fratello che già sento fare il precisino, ma è la stessa cosa, non esiste solo il fallimento in tribunale, esiste anche il fallimento dentro noi stessi.

a tutti può succedere, come può succedere di avere successo. solo che in quel caso niente è per caso, in quel caso ce lo siamo meritato, lo abbiamo ottenuto col sudore della fronte ed il sacrificio. si, bravo, solo tu lavori e sudi dalla fronte. solo tu, mi viene da dirgli quando gli parlo. “fin da piccolo per me il calcio era tutto, giocavo appena potevo, mangiavo e andavo subito all’oratorio. è sempre stato il mio più grande amore! ecco perché gioco in serie A, l’ho sempre voluto!”. solo tu, mi viene da dirgli quando lo ascolto in tv, io no, studiavo già economia e commercio alle elementari, non giocavo a calcio, preferivo il diritto.

vi dicevo che credo nel metodo scientifico fondato sul caso e che nella mia famiglia si dice “la fortuna aiuta la persona preparata”. lo ribadisco.

e’ questione di approccio, bisogna saper leggere la realtà.

la prima verità è che ci sono persone di successo perché viviamo in un posto dove i treni passano. ci sono posti dove non solo non passano i treni perché i “ferrovieri” sono tutti imboscati, ma dove non ci sono stazioni, binari e nemmeno i treni.

qualcuno, attento, lo sente da lontano e comincia a mettersi a correre: sai, il treno passa, ma se ne va anche; se non cominci a correre, se non sai correre, quel treno lo perdi, anche se ti sei accorto che passava mentre gli altri stavano facendo l’aperitivo.

prepararti è il miglior piacere che puoi fare a te stesso; ovvio, se ti interessa prendere il treno.
e’ questione di approccio, di cultura del lavoro.

preparati con strategia, comincia dalla cultura del lavoro. dedicati a quello e non distrarti. e quando ti senti pronto, non è ancora il momento giusto, perché devi allenare il feeling: le onde arrivano una dietro l’altra, ma se cavalchi quella sbagliata, c’è poco da divertirsi. non vedi l’ora di tornare indietro e riprovarci.

“lavora tanto, lavora bene” non è più sufficiente, anzi.

oggi si deve trovare il tempo per uscire dall’officina e dallo studio, per allenare il feeling, osservare e conoscere. perché ad un certo punto diventa tutto naturale e certe cose che non riuscivi a capire prima, poi, sembra che tu le conosca da sempre.

adesso, fermati ad ascoltare il treno che arriva. sentirai che è quello giusto. saltaci sopra.
e che Dio te la mandi buona.

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