crisi da sovraindebitamento, che fine fa l’abitazione principale?

nelle procedure di soluzione delle crisi delle persone fisiche, l’abitazione principale è uno degli elementi che maggiormente toccano la sensibilità al collasso del soggetto in crisi.

che fine fa la mia casa? posso mantenerla anche se accedo alla procedura?

anzitutto, è necessario chiarire che le prossime sono da ritenere osservazioni del tutto personali.

a mio giudizio, preliminare è l’inquadramento della crisi:
– persona fisica con esposizioni da mero consumatore (piano del consumatore);
– persona fisica con esposizioni anche di natura imprenditoriale (crisi da sovraindebitamento);
– soluzione liquidatoria.

tralasciando l’ultima da considerarsi, almeno a questi fini, come residuale, nella prima il sindacato è del giudice e qui, sta all’interpretazione ed alla sensibilità di quest’ultimo, nella seconda sono i creditori che, soddisfatti parzialmente, giudicheranno, votando, la proposta.

nella normativa non si parla del trattamento della casa di abitazione di proprietà ma una prima considerazione è che le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento colmano una voluta lacuna legislativa relativa alle imprese non fallibili perché sotto dimensionate o marginali (sotto i limiti di cui all’art.1 lf) ovvero l’esclusione dall’ambito fallimentare del soggetto persona fisica nel ruolo economico di consumatore (soggettivamente non fallibile); da ciò, per analogia col trattamento fallimentare, la casa di abitazione non dovrebbe avere alcuna protezione perché in tale ambito alcuna protezione viene data all’abitazione del fallito che deve essere venduta per soddisfare i creditori.

una seconda considerazione è che le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento nel loro complesso più che somigliare al fallimento tendono, direi, al concordato nel quale l’interesse del creditore non è visto come un interesse da difendere dall’ordinamento tout court ma bensì come il legittimo interesse personale dello stesso creditore che, vivendo nel contesto economico, potrebbe ritenere interessante anche un pagamento parziale. di qui, mentre nella crisi sono i creditori ad esprimersi direttamente e tramite il voto sulla proposta del debitore, nel piano del consumatore è il giudice che deve equitativamente stimare quanto sia ragionevole la perdita che il creditore possa sopportare anche al fine di recuperare il soggetto in crisi all’interno del sistema economico; il fresh start, infatti, è uno dei pilastri di queste procedure.

alla luce di questi elementi e tornando all’abitazione, concluderei dicendo che se il debitore, tramite una parziale remissione e dilazione riesce a garantire il valore minimo di stima (pur utilizzando nelle nostre procedure sempre un perito estimatore, potrebbe essere sufficiente utilizzare i valori omi dell’agenzia delle entrate che tendono ad una valutazione più prudente dei beni) al netto delle spesse di liquidazione del bene (costi legali del creditore procedente e costi della procedura, compensi di stima del perito estimatore, costo del professionista delegato alla vendita, costi di custodia giudiziaria, costi di pubblicità degli avvisi di vendita, costi a carico dell’aggiudicatario del bene) stimabili mediamente nel 20% del valore del bene, non ravviserei problemi del giudice nell’omologare il piano ovvero nei creditori nel votarlo; ovvio, tutto questo va descritto, dimostrato e giustificato dettagliatamente nella proposta.

come sempre, la salvaguardia della vostra casa ed il buon esito della procedura di composizione della crisi dipendono dal professionista che vi assiste, perché il gestore della crisi viene nominato e la sensibilità del giudice è quella che è, ma la competenza dell’avvocato e dell’advisor dipendono solo da vostre scelte.

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